Visualizzazione post con etichetta arte. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta arte. Mostra tutti i post

sabato 7 settembre 2013

A SPASSO NELLA STORIA - CHIESA DI SANTA ROSA, VITERBO

CHIESA DI SANTA ROSA










bandiera eng
Viterbo Città d'Arte - Chiesa di Santa Rosa
INTERNO
In fondo alla navata destra, sulla contrafacciata, una lapide posta nel 1933 dal vescovo di Viterbo Emidio Trenta ricorda i lavori di consolidamento della chiesa. La bussola della porta laterale destra proviene dall’antica chiesetta del 1632.
Il Crocifisso ligneo sul primo altare risale al XVII sec.: la testa del Cristo, reclinata in avanti, è circondata da una raggiera di legno dorato.
La stele che segue segnala la tomba di don Alceste Grandori (1880-1974), acclamato come uno dei più ferventi devoti di santa Rosa e padre carismatico della chiesa viterbese. "Amò di soprannaturale più generazioni di viterbesi educandoli alla pratica delle verità della fede. Maestro incomparabile e indimenticato. La chiesa viterbese riconoscente 9 marzo 1978".
Di fronte, sul retro del pilone, una lapide del terz’Ordine Francescano ricorda il settimo centenario della morte di S. Rosa (2 settembre 1952).
L’urna di bronzo dorato (ai lati due angeli in preghiera), che ammiriamo nella cappella della Santa, è del 1699 e sostituisce due precedenti in legno, una delle quali è custodita nell’adiacente casa di Santa Rosa (1). I tondi delle pareti intorno all’urna, di autore ignoto, rappresentano scene della vita e dei miracoli della santa. Il corpo, annerito dai secoli e dall’incendio del 1357, è miracolosamente intatto e ricoperto da una tonaca di seta che viene periodicamente sostituita dalle Clarisse dell’adiacente convento. L’ultima vestizione, in ordine di tempo, risale al 13 febbraio 1990; con l’abito dimesso vengono confezionate reliquie per i fedeli.
Ai piedi degli scalini si fa apprezzare una pregevole statua marmorea della Santa, opera dello scultore siciliano Francesco Messina (1940).
La lapide che segue, sempre lungo la parete destra, è posta sulla tomba del conte Mario Fani, fondatore della Gioventù Italiana di Azione Cattolica (1845-1869). Pio XII dirà "…nel lontano 1868, in una notte di preghiera nella chiesa di Santa Rosa a Viterbo spuntò dal cuore di Mario Fani il primo fra i rami che oggi potrebbero chiamarsi la prima radice del robusto tronco dell’Aziona Cattolica Unitaria…". Della stessa Azione Cattolica è la lapide, nel retro del pilone a fronte, che ricorda il 75°anno di fondazione (1943).
Sull’ultimo altare di destra, una tela di Publio Muratore, che sostituisce una precedente ottocentesca del Dilani (andata distrutta), rappresenta Un paggio porge a Santa Rosa un mazzo di fiori. In ginocchio, il Vescovo di Viterbo Luigi Boccadoro; in piedi, San Francesco e Santa Chiara. Sullo sfondo, la loggia del palazzo dei Papi.
In testa alla navata, in alto, una lapide ricorda la consacrazione della chiesa da parte del card. Gaspare Pianetti (25 agosto 1850). In basso, altre due: la prima (8 settembre 1921) porta la firma della Società della Gioventù Cattolica Italiana in riconoscenza dei fondatori, tra cui Mario Fani; la seconda, del febbraio 1893, reca un’analoga riconoscenza a Mario Fani.
La tela del presbiterio (2), circoscritta da una cornice in legno dorato, con Santa Rosa circondata da angeli che l’accompagnano in cielo su un paesaggio di Viterboè di Francesco Podesti di Ancona (1812-1855) e sostituisce una precedente del Romanelli (XVII sec.) andata distrutta.
L’altare maggiore, di marmo policromo, è un dono del 1937 del Consiglio Superiore dell’Azione Cattolica Femminile, come testimonia la lapide incastonata nel lato destro: "A Santa Rosa da Viterbo – inclita Vergine della serafica milizia – dilettissima Patrona – della Gioventù Femminile di Azione Cattolica il Consiglio Superiore di G.F. – consacra nel marmo la riconoscenza imperitura – esprime nell’altare la preghiera fiduciosa – implora per la sua celeste intercessione – ardore di carità e zelo di opere – per la salvezza delle anime – per la gloria di Dio. Milano 4 settembre 1937".
Il contraltare, sistemato dopo la riforma liturgica, è simile al primo.
La parete di testa dell’abside sinistra accoglie quattro lapidi. In alto si ricorda che il card. Pianetti riuscì a ricostruire la chiesa in cinque anni, vincendo tutte le difficoltà suscitate dai tempi calamitosi attraversati allora dallo Stato Pontificio. In basso, gli omaggi sono sulle tombe di Margherita Ciofi (1868), Anna Signorelli (1870) e Adelaide Bianchi (1866).
La tela, sul terzo altare di sinistra, è attribuita a Vincenzo Pontani e raffigura laMorte di San Giuseppe.
Nel retro del pilone di fronte, è la tomba di Giuseppe Signorelli, Presidente Ispettore al Catasto Pontificio (1865): "…amò di schietto amore la Chiesa".
Accanto, è venerata la statua lignea (proveniente da Ortisei) della Madonna di Loreto protettrice degli Aviatori, dono dell’Associazione dell’Arma Aeronautica.
Seguendo la parete, si legge il ricordo del Vescovo di Viterbo Adelchi Albanesi (1883-1970), quivi sepolto, raffigurato nel medaglione in bronzo di Francesco Nagni che precede il bellissimo polittico firmato (sul listello ai piedi dello scomparto) del maestro viterbese Francesco d’Antonio Zacchi detto Il Balletta (XV secolo). L’opera, datata 1441, raffigura la Madonna in trono col Bambino tra S. Rosa e S. Caterina d’Alessandria; nelle cuspidi, l’Annunciazione e la Madonna della Misericordia; nei pilastri laterali: S. Giovanni Battista, S. Antonio Abate, S. Margherita, S. Maria Maddalena, S. Ludovico da Tolosa e S. Chiara; nella predella:Cristo in pietà tra la Madonna e S. Giovanni Evangelista e, ai lati, S. Paolo, S. Lorenzo, S. Lucia, S. Biagio, S. Francesco e S. Bartolomeo (3).
Alla base del polittico, una lapide ricorda i caduti in guerra (1940-1945).
La tela sull’altare che segue (raffinato il paliotto in marmo policromo) è del pittore tedesco Michele Wittmer e raffigura la Madonna col Bambino tra San Francesco di Sales, Santa Giovanna Francesca Fremito de Chantal, San Bonaventura, Sant’Antonio da Padova e San Stanislao Kostka.
Nella cantoria sopra la bussola è collocato un organo a trasmissione meccanica (Tamburini, Crema, 1968).
La bussola è un dono dei Legionari Viterbesi reduci dall’Africa Orientale (1937).
Il pavimento in marmo policromo è opera della ditta Anselmi di Viterbo.
L’interno della cupola, affrescata in parte da Giuseppe Cellini, presenta i quattro Evangelisti, nelle vele; nel catino Il Beato Crispino, San Francesco, Santa Giacinta e San Giacomo e, nella calotta, l’Agnello mistico tra Angeli.
La "Via Crucis", in rame sbalzato, è opera dello scultore viterbese Roberto Ioppolo.

LA STORIA
La costruzione risale alla metà del secolo scorso (1850) per iniziativa del card. Gaspare Bernardo Pianetti, vescovo di Viterbo, che fece riedificare la chiesa, sulle strutture di quella preesistente, a somiglianza della cinquecentesca Santa Maria delle Fortezze (oggi in gran parte distrutta), senza però ottenere apprezzabili risultati sul piano architettonico.
Gran parte dei finanziamenti venne reperita dalle Clarisse del convento, impegnate ad ingrandire ed ammodernare il vecchio complesso del 1632.
L’attuale edificio, pur di modesto interesse artistico, riveste, tuttavia, un grande valore per i Viterbesi in quanto è legato alla figura della patrona della città, venerata non solo nella Tuscia, ma in molte altre parti del mondo.
La cupola, che sormonta la chiesa (realizzata nel 1917, su progetto dell’architetto Arnaldo Foschini) stenta ad armonizzarsi con le pretese rinascimentali della facciata in peperino, solenne ed austera, divisa da piatte lesene a capitello ionico su cui grava un grande timpano.
In origine al suo posto sorgevano la chiesetta e il monastero (dedicato a Santa Maria) delle Povere Sorelle di San Damiano di Assisi, di cui si ha notizia già nel 1235. Circa la metà del secolo XIV il complesso cominciava già a chiamarsi di S. Rosa. Nel 1258 il pontefice Alessandro IV vi fece "trasportare" il corpo della Santa, che da sette anni giaceva nella nuda terra presso la vicina chiesa di Santa Maria in Poggio.
Storia e credenze popolari si fondono per informarci su un episodio miracoloso che avrebbe poi generato il culto della Santa e della "Macchina di Santa Rosa" assurta oggi a spettacolare avvenimento di folclore religioso (3 settembre di ogni anno). Rosa morì, secondo la tradizione il 6 marzo 1251 e venne sepolta, come detto, presso la chiesa di Santa Maria del Poggio, accanto alla sua modesta abitazione. Da viva avrebbe chiesto più volte di entrare nel convento delle monache di San Damiano, ricevendo però sempre il severo diniego della badessa. Nell’eterno contrasto tra cattolici ed eretici, che distinse buona parte del Medioevo, Rosa era considerata da molti una ribelle all’imperatore e ai nemici della Chiesa e pertanto occorreva prudenza. "So bene che non è questa la causa – avrebbe detto la giovinetta -. Ma perché disprezzate in me ciò che Dio apprezza? Ciò che è stoltezza nel mondo è sapienza agli occhi di Dio e ciò che voi disprezzate da viva sarete contenta di avere come morta, ed infatti l’avrete".
A pochi anni dalla sua scomparsa comparve più volte in sogno al papa Alessandro IV, che in quel tempo risiedeva in città, ammonendolo di trasferire il suo corpo a Santa Maria presso le Monache di San Damiano.
Il pontefice seguì il sogno premonitore e ordinò la traslazione che, secondo la tradizione, avvenne, con un corteo di quattro cardinali e fedeli il 4 settembre 1258.
Il trasporto della "Macchina di Santa Rosa", del 3 settembre, ricorda, per l’appunto, questo storico evento.
La chiesa, ricostruita dopo l’incendio del 1357, venne affrescata intorno alla metà del Quattrocento, dopo un ulteriore ampliamento, da Benozzo Gozzoli con scene della vita della Santa. Le pregevoli opere andarono distrutte in conseguenza ad ulteriore lavori di rifacimento nella prima metà del XVII sec. Restano nove copie (disegni acquerellati), di mediocre fattura, del pittore orvietano Francesco Sabatini (1632) custoditi nel Museo Civico di Viterbo. Gli episodi del Gozzoli, che non vedremo mai, rappresentavano: la resurrezione della parente morta; l’apparizione del Crocifisso e la predicazione di Rosa; l’esilio da parte del Vicario di Federico II; l’annuncio della morte di Federico II da parte dell’Angelo e la comunicazione che Rosa ne dà al popolo di Soriano; il miracolo della cieca; la prova del fuoco; il rifiuto dal Convento e la morte di Rosa; l’apparizione al papa e il ritrovamento della salma.
Due disegni autografi del Gozzoli (probabilmente non trasferiti in affresco) sono conservati al British Museum di Londra e al Gabinetto delle Stampe di Dresda.

Chiesa di Santa, Santa Rosa church: Traduzione di Veronika Melnick, Seattle University, Danielle Maddock, University of Nevada, Reno, Alicia Bertram University of New Mexico, Albuquerque. Programma USAC presso Università degli Studi della Tuscia. The building, dates back to the middle of the nineteenth century (1850). It was initiated by the cardinal, Gaspare Bernando Pianetti, the bishop of Viterbo, who rebuilt the church, on top of the pre-existing structure, in resemblance to the sixteenth century Santa Maria of Fortezze (today it is mostly destroyed), but without obtaining significant results in terms of architecture.
INTERNO. Interior
On the end of the right aisle, on the counter, is a plaque posted in 1933 by the Bishop of Viterbo, Emidio Trenata, recording the work of consolidation of the church. The inner door on the right side comes from the old church of 1632. The wooden crucifix on the first alter dates back to the seventeenth century: the head of Christ, bent forward, is surrounded by a ring of gilded wood. The following stele indicates the tomb of Don Alceste Grandori (1880-1974), acclaimed as one of the most fervent devotees of Santa Rosa of Viterbo and the charismatic father of the church of Viterbo. “He loved the supernatural very much and teaching many generations of Viterbo to practice the truths of faith. He was an incomparable and unforgettable teacher. The church of Viterbo is grateful. March 9, 1978.” On the back of the large column, a plaque of the Third Franciscan Order remembers the seventh centenary of the death of Santa Rosa (September 2, 1952). The golden bronze urn (on the sides two angels in prayer), that we can admire in the chapel of the Saint, is from 1699 and replaces two preceding wooden ones, one that is housed in the adjacent home of Santa Rosa (1). The scenes on the outside walls of the urn (artist unknown), represent miracles and events in the life of the Saint. The body is blackened from centuries and from the incident of 1357. It is miraculously intact and covered with a silk tunic that is periodically replaced the by the nuns in the adjacent convent. The last replacement, was on February 13, 1990. The old tunics become relics for the faithful. At the bottom of the steps, there is a fine marble statue in the memory of the Saint by the Sicilian sculptor, Francesco Messina (1940). The tombstone that follows, along the right wall, is the place on the grave of Count Mario Fani, the founder of the Gioventù Italiana di Azione Cattolica (1845-1869). Pio XII said “back in 1868, during one night of prayer at the chirch of Santa Rosa of Viterbo, Mario Fani sprang from the heart the first branches that today can be called the first root of the robust trunk of Aziona Cattolica Unitaria...” The tombstone was asked to be made by the same Azione Cattolic. On the back of the pylon, in the front of the tombstone, is a reminder of the 75th year of establishment (1943). On the last alter on the right, there is a painting by Publio Muratore that replaces a preceding 19th century painting by Dilani (it has been destroyed). It represents Santa Rosa holding a bouquet of flowers. On his knees, the bishop of Viterbo, Luigi Boccadoro and on foot, San Francesco and Santa Chiara. In the background is the Palace of the Popes (palazzo dei Papi). At the head of the nave, above, is a plaque that commemorates the consecration of the church by the cardinal, Gaspare Pianetti (August 25, 1850). At the bottom there are two more, the first bears the signatures of the Italian Catholic Youth Society in recognition of it founders (September 8, 1921), including Mario Fani. The second of February 1893, pays similar gratitude to Marco Fani. The canvas painting of the presbytery (2) has a gilded wooden frame. It depicts Santa Rosa surrounded by angels that accompany her in the sky over a landscape of Viterbo and Francesco Podesti of Ancona (1812-1855). This painting replaces a previous one by Romanelli (17th century) that is now destroyed. The great altar of polychrome marble was given by the Consiglio Superiore dell’Azione Cattolica Femminile (The Higher Council of Catholic Women) in 1937. The plaque on the ride side of it reads: “To Santa Rosa of Viterbo- illustrious Virgin of the saraphic army- beloved Patron of the Gioventù Femminile di Azione Cattolica- the Consiglio Superiore di G.F consecrates the marble with its undying graditude. In the alter a confident prayer is expressed, pleading for her celestial intercession, ardent charity, and zealous works and for the salvation of souls for the glory of God. Milan Septemer 1937 The counterpart, settled after the liturgical reform, is similar to the first. The front wall of the left apsis welcomes four tombstones.  At a sentence written at the top remember  that the Cardinal managed to reconstruct the church in five years, defeating all difficulties the Papal state was having provoked form at the time.  At the bottom the tribute to the tombs of Margherita Ciofi (1868), Anna Signorelli (1870) e Adelaide Bianchi (1866).   The cloth, on the third alter on the left, is attributed to Vincenzo Pontani and symbolizes the death of San Giuseppe.  In the back of the tower from the front, is a tomb of Giuseppe Signorelli, Presidente Ispettore al Catasto Pontificio  (1865) "… he loved sincerely the Chruch."   Nearby, is the adored wooden statue (coming from Ortisei) of the Madonna di Loreto protector of the Aviators, donated by the Association of the Army Aeronautics.  Following the walls, read the memory of Bishop of Viterbo Adelchi Albanesi (1883-1970), buried here,  representing the medallion in bronze of Francesco Nagni that precedes the very beautiful polyptych signed (on the plank at the feet of the pocket) from the master, from Viterbo,  Francesco d'Antonio Zacchi known as Il Balletta (15th Century).  The work, dated 1441, symbolizes the Madonna in throne with the Child between S. Rosa and S. Caterina d'Alessandria; at the point, Annunciation and the Madonna from Misericordia; in the side pillar: S. Giovanni Battista, S. Antonio Abate, S. Margherita, S. Maria Maddalena, S. Ludovico da Tolosa and S. Chiara; on the alter-step: Christ in pity between the Madonna and S. Giovanni Evangelista and at the side, S. Paolo, S. Lorenzo, S. Luca, S. Biagio, S. Francesco and S. Bartolomeo (3). At the base of the polyptych, a tombstone to remember the fallen in war (1940-1945).   The cloth on the alter that follows (the frontal refined in colorful marble) is by the German  painter Michele Wittmer and depicts the Madonna with the Child between S. Francesco of Sales, S. Giovanna Francesca Fermito of Chantal, S. Bonaventura, S. Antonio from Padova and S. Stanislao Kostka.    In the choir on the inner door is placed an mechanical transmission organ.   The inner door is a gift from the Legionari Viterbesi veterans from East Africa (1937).  The floor in colored marble was made by the company Anselmi ins Viterbo.  The inside of the dome, fresco in part by Giuseppe Cellini, presents the four Evangelists, in the sails; in the basin the Beato Crispino, S. Francesco, S. Giacinta and S. Giacomo and in the crown, the spiritual Lamb between Angels.      The "Via Crucis" decorated in copper, was made by the sculptor Roberto Ioppolo, from Viterbo.
 LA STORIA, History
The construction goes up to the middle of the century last (1850) from initiatives of the Cardinal Gaspare Bernardo Pianetti, Bishop of Viterbo, who order the reconstruction of the church, on the structure of that pre-existing, resemblance of the  16th century Santa Maria delle Fortezze (today in great measure destroyed), however without achieving significant results on the architectural floor.. The majority of the financing came from the Clarisse convent, committed to enlarge and to update the old complex from 1632.  The current building, also from artistic modest interests, covers, however, a large value for the people of Viterbo because of the ties to the figure of the patron of the city, fear not only in Tuscia, but in most other parts of the world.  The dome that surrounds the church (this architecture project of Arnaldo Foschini was achieved in 1917) was difficult to blend with the demand of the high-spirited Renaissance façade, solemn, strict, uniform and divided by flat pilasters with iconic capitals on which rests a large tympanum. Originally in its place stood the church and the monastery (dedicated to Santa Maria) of the Povere Sorelle of San Damiano of Assisi, of which there are records from 1235. Around the middle of the fourteenth century the complex was starting to be called S. Rosa. In 1258 Pope Alexander IV made them “transport” the body of “Santa Rosa” to the church of Poggio, which had been buried in the earth near the church for seven years. History and popular belief merge to inform us of a miraculous episode that would generate the cult of the saint and the “Macchina di Santa Rosa” which today is a spectacular religious event (September 3rd every year). According to tradition Rosa died March 6th, 1251 and was buried, as previously mentioned, nearby the church of Santa Maria of Poggio, near her modest home. Had you been alive you would have asked many times to enter the convent of nuns of San Damiano, receiving always a severe denial from the abbess. The eternal conflict between the Catholics and the heretics, which defined a good part of the Middle Ages, Rosa was considered to many as a rebel emperor and an enemy of the church and therefore she needed to be cautious. “ I know that this is not the cause” the young girl used to say, “And because they despise in me what God praises? This is the stupidity in the world and wisdom in the eyes of God is that which you despise and be glad that you live as if you were dead, and in fact you have”. A few years after her death she reoccurred appearing in the dreams of Pope Alexander IV, who at this time was residing in the city, warning him that he should transfer her body to the nuns of Santa Maria at San Damiano. The pointiff followed the premonitory dream and ordered the transfer, according to the tradition, and the transfer came with a procession of four faithful cardinals on September 4th, 1258. The transport of the “Macchina di Santa Rosa”, on September 3rd, remember, is in fact for this historical event. The church, which was reconstructed after the fire of 1357, was repainted on the interior during the fifteenth century, after the building of an extension by Benozzo Gozzoli with scenes of the life of the saint. The valuable works were destroyed due to the additional repair work during the first half of the 17th Century. There are nine remaining copies (watercolor paintings) of mediocre technique, of the Orvieto painter Francesco Sabatini (1632) which are in the custody of the Museo Civico of Viterbo. These episodes of Gozzoli, which we will never see, represented: the resurrection of the dead relative, the apparition of the Crucified, and the preachings of Rosa; the exile from the Vicar of Frederick II; the announcement of the death of Frederick II by the angel and the preachings that Rosa gave the people of Soriano; the miracle of the blind; the evidence of the fire; and the refusal by the Convent and the death of Rosa; the appearance of the pope and the retrieval of the corpse. Two paintings signed by Gozzoli (probably non transferred in the fresco) are conserved in the British Museum in London and the Cabinet of Prints in Dresden.



giovedì 20 settembre 2012

VITERBO, LE MURA E LE PORTE

Dal blog di Daniela Stampatori, Guida Turistica di Viterbo: 

http://guidaturisticadiviterbo.blogspot.it/2010/09/le-mura-di-viterbo.html


Le mura di Viterbo

Come già accennato in precedenza, il centro storico di Viterbo è cinto da un circuito murario in peperino, che si estende per circa 4 km. Nonostante i numerosi restauri ed interventi di manutenzione subiti attraverso i secoli, il tracciato rimane sostanzialmente quello realizzato tra l’XI ed il XIII secolo: il primo tratto fu infatti innalzato dal 1095, in concomitanza con la nascita di una struttura organizzativa di tipo comunale, ed assunse il suo aspetto definitivo nel 1268. Gli aspetti più caratterizzanti sono la presenza, ancora oggi, di numerose torri e porte urbiche (in tutto quattordici: di alcune ne rimane solo traccia, altre furono chiuse e riaperte in diverse epoche). Il complesso murario è il risultato di più fasi costruttive legate alla storia della città, dalla fondazione al periodo di maggior splendore, fino al declino dai primi anni del XIV secolo, quando i Pontefici lasciarono Viterbo ed il Lazio per rifugiarsi ad Avignone. Nonostante l’evoluzione delle tecniche costruttive, rimase costante l’impiego di determinati materiali, di cui cambiarono solo le pezzature e le modalità di posa: i più utilizzati, tutti facilmente reperibili nella zona del viterbese, erano il peperino ed il tufo legati con un impasto di calce e pozzolana.
Nonostante le diverse fasi costruttive dell’intero circuito murario, alla fine del XIII secolo Viterbo doveva presentare una struttura difensiva piuttosto omogenea e, come già detto, i restauri e gli interventi di manutenzione dei secoli successivi non hanno modificato il tracciato originale, sebbene  numerosi crolli e danneggiamenti abbiamo interessato soprattutto il tratto orientale (in particolare a seguito dei bombardamenti  della seconda guerra mondiale). 

The walls of Viterbo
As mentioned above, the historical center of Viterbo is surrounded by a circle of walls in lava stone, which extends for approximately 4 km. Despite extensive restoration and maintenance suffered through the centuries, the route remains substantially realized that between the eleventh and thirteenth centuries: the first part was in fact raised from 1095, coinciding with the birth of a municipal-type organizational structure, and assumed its final appearance in 1268. The most distinctive features are the presence, even today, many of the towers and city gates (all fourteen of some remains only track, others were closed and reopened several times). The whole wall is the result of several phases of construction related to the history of the city, from the foundation to the period of greatest splendor, until the decline of the early fourteenth century when the popes left Viterbo and the Lazio to take refuge in Avignon. Despite the evolution of construction techniques, remained constant use of certain materials, which changed only the sizes and the method of installation: the most used, all readily available in the area of Viterbo, were the tuff and tuff associated with a mixture of lime and pozzolana.
Despite the different phases of construction of the circuit wall at the end of the thirteenth century Viterbo had to submit a defensive structure rather homogeneous and, as already mentioned, the restoration and maintenance of later centuries have not changed the original route, although several collapses and damage have affected mainly the eastern section (in particular as a result of the bombing of the Second world War).

LE PORTE DI VITERBO:


Viterbo Città d'Arte - Porta della Verità
Fu chiamata anticamente Porta dell'Abate per la sua vicinanza con l'abbazia di S. Maria della Verità. Sopra la porta sono posti gli stemmi di Benedetto XIII, del governatore Oddi, del vescovo Sermattei e del comune di Viterbo. L'epigrafe, collocata sulla sua sommità, ricorda che nel 1728 per comodità il Comune provvide ad allargare la rozza e vecchia porta ormai in rovina.

Viterbo City of Art - Door of Truth
It was formerly called Port of Abbot for its proximity to the Abbey of St. Mary of Truth. Above the door are placed the arms of Benedict XIII, the governor Oddi, Sermattei the bishop and the town of Viterbo. The epigraph, placed on its top, remember that in 1728 the City for convenience provident to enlarge crude and old door in ruins.



                                                    




Sopra la porta è posto l'epigrafe, collocata sulla sua sommità a ricordo che nel 1728 per comodità il Comune provvide ad allargare la rozza e vecchia porta ormai in rovina.

Above the door is placed the inscription, placed on the top to remind you that in 1728 the City Council for convenience provident to enlarge crude and old door in ruins.


Sopra la porta è posto lo stemma di Benedetto XIII.
Above the door is placed the emblem of Benedict XIII.



Sopra la porta è posto lo stemma del governatore Oddi.
Above the door is placed the coat of arms of the governor Oddi.



















giovedì 9 agosto 2012

MUST SEE IN ITALY...TUSCIA!


Tuscia is a rugged, relatively unknown corner of Italy situated in Lazio, not far from Rome. With fortressed medieval villages, a fascinating history, as can be seen from the various ruins and archaeological sites in the area, and a landscape made of ravines, rocky outcrops and volcanic lakes, this area is well worth visiting.





Stretching from the North of the Roman province up to Lake Bracciano, Tuscia as an area got its name from the fact that it was once the heartland of the Etruscan culture. Many of the towns and villages we still see today, with houses, cellars and fortresses literally carved into the rocks, were built on the site of the original Etruscan villages, although there are still untouched ruins to explore, both of Etruscan and Roman origin. 




Some of the things truly worth seeing include the Etruscan necropolis at Corviano, where you get a fascinating insight into the beliefs and lifestyles of these people, the Medieval monastery of San Nicolao, where you can explore the ruins and enjoy the scenery, and the “Monster Park”, a 16th century garden full of stone carvings of monsters and mythological creatures.






Because Tuscia is relatively unknown, you can find plenty of traditional, tourist-free Italian towns with tavernas serving delicious local food prepared in an authentically Italian manner, including cheeses, mushrooms, sausages and bread with that deliciously smoky taste that comes only from being baked in a wood oven. All washed down with locally produced wine, of course...



Given the particular geographic location of Tuscia’s territory, its cooking can be considered a successful mix of taste, smells and simplicity, reminding us of the Roman, Tuscan and Umbrian cooking. 
The traditional dish is the “acquacotta” composed by four basic elements: homemade stale bread (by stale we mean a few days old), leaf vegetables (wild chicory as a prime choice), together with potatoes, tomatoes and onions, wild mint and extra virgin olive oil. 
You can taste this simple but genuine local cooking in selected trattorias. 







martedì 7 dicembre 2010

Villa Lante

VILLA LANTE A BAGNAIA (VITERBO):







Villa Lante è una delle maggiori realizzazioni del Cinquecento italiano. Da ricordare in modo particolare la Fontana dei Mori del Giambologna, le due palazzine (Gambara e Montalto) e uno spettacolare sistema di fontane e giochi d’acqua oltre a un bel parco boschivo. Tutta la Villa (tra giardino all'italiana e parco) occupa la superficie di 22 ettari.
La straordinaria particolarità di Villa Lante è insita nella predominanza del giardino rispetto all'opera architettonica infatti la residenza si sdoppia in due piccoli edifici gemelli (anche se costruiti in tempi diversi) simmetrici rispetto all'asse centrale del giardino che domina l'intera composizione attraverso il percorso d'acqua.







LE GEOMETRIE D’ACQUA DI VILLA LANTE A BAGNAIA:
L'acqua nasce da un trionfo di geometrie disegnate da siepi sempreverdi e statue di peperino e segue un percorso che crea bacini e giochi d’acqua particolari.
Da segnalare anche una tavola di peperino con un fresco ruscello che l’attraversa nel mezzo per tenere freschi frutta e verdura durante i pasti degli antichi proprietari.
Il Giardino di Villa Lante è così un luogo incantato creato e voluto da un potente cardinale in nome della supremazia dell’uomo sulla natura. Chiusa in un rigoroso dedalo geometrico opera dell’architetto Jacopo Barozzi da Vignola,Villa lante fu costruita nella seconda metà del Cinquecento per volere del cardinale Gambara, a ridosso di un bosco già riserva di caccia.
La Villa è attraversata longitudinalmente da un ruscello che sgorga in alto dalla roccia e segue il pendio del terreno, sfruttandone i dislivelli e raccordandoli con terrazze e fontane fino a placarsi nel quadrato della fontana dei Mori.

VILLA LANTE - LA FONTANA DEI MORI:
E’ uno specchio d’acqua che eleganti balaustre suddividono in quattro bacini su cui galleggia una barca con un putto zampillante e al centro un triplice cerchio di vasche culminanti nel gruppo dei quattro mori che reggono lo stemma di Papa Sisto V.

















VILLA LANTE A BAGNAIA (VT) - I GIARDINI:
Fin dall’ingresso si abbraccia la vista dell’intero giardino.
Le due palazzine simmetriche, a pianta quadrata sembrano non voler interrompere il flusso d’acqua, elemento naturale e vero protagonista della Villa, che scende con impeto anche se incanalato tra le fauci di un gambero in peperino simbolo del cardinale Gambara o raccolto nella Fontana dei Giganti raffigurazione dell’Arno e del Tevere.
Villa lante si trova a Bagnaia a soli 4 Km. da Viterbo ed è uno degli esempi più significativi di giardino all'italiana,con due palazzine e le sue meravigliose fontane artistiche.




VILLA LANTE - LA FONTANA DELLA CATENA:
Una grossa quantità d’acqua defluisce e scende tumultuosa attraverso la Fontana della Catena, saltellando nell'inviluppo avvolto e concatenato delle chele di un gambero (emblema del Cardinale Gambara) come a costituire una catena d'acqua cristallina e sfociando nella Fontana dei Giganti, rappresentante i fiumi Tevere e Arno (ossia i buoni rapporti tra il papato di Roma e la famiglia Medici di Firenze) è l'età della ragione (o di Giove), in cui l'uomo è chiamato a lottare con le sue forze per dominare la natura per poi calmarsi nella Fontana della Tavola (o Tavola del Cardinale) come a costituire, per un raffinato gioco di forme e trasparenze, una tavola con tovaglia cristallina. L’acqua riprende poi la sua corsa e va a zampillare nella Fontana dei Lumini, come a formare tante fiammelle di candele argentate.



LE COSTRUZIONI ALL’INTERNO DI VILLA LANTE:
Nel progetto era prevista la costruzione delle due ville, ma solo una fu fatta costruire, nel 1566, dal card. Gambara. All'interno conserva meravigliosi soffitti a cassettoni, stucchi ed affreschi pregiati, alcuni raffiguranti Villa D'Este, il Palazzo Farnese di Caprarola, il Palazzo di Capodimonte e Villa Lante come era all'origine. L'altra villa, chiamata Palazzina Montalto, per il nome del cardinale che la fece costruire, venne terminata nel 1590 con affreschi di vari autori ed un importante soffitto a cassettoni decorato.
Il cardinale Giovan Francesco Gambara, discendente da una nobile famiglia bresciana, grazie alla protezione dei Farnese (la madre era la vedova di Ranuccio Farnese), ottenne il titolo di Vescovo di Bagnaia nel 1566 ma prese possesso solo nel 1568 e immediatamente progettò la realizzazione della sua Villa Lante a Bagnaia richiedendo ai Farnese il servizio del loro architetto Vignola. Già nel 1573 il cardinale poteva risiedervi ma i lavori proseguirono fino al 1578 (come ricorda la data apposta su di un fregio del casino detto Palazzina Gambara), data della visita di Gregorio XIII.
L’architettura dei casini costruiti simmetricamente sul clivio alla fine di un terrazzamento all’interno di Villa Lante risulta assai più elegante e semplice rispetto alle coeve villa d’Este e palazzo Farnese di Caprarola e risente del modello bramantesco del Belvedere da cui Vignola trasse evidentemente diretta ispirazione riprendendo dalla precedente esperienza di Caprarola alcuni elementi del Casino del Barco ma lasciando assai più spazio al giardino che a Bagnaia svolge il ruolo di protagonista.
La decorazione interna venne terminata in tempo per la visita di Gregorio XIII nel 1578, il programma e la direzione dei lavori è attribuita a Raffaellino da Reggio, già presente nel palazzo Farnese di Caprarola. Questa dipendenza del cardinal Gambara dalla ben più potente famiglia Farnese è sottolineata da tutta la realizzazione della sua residenza di Bagnaia e ritorna espressa sulle pareti della loggia del primo piano ove sono rappresentati paesaggi di Caprarola con il palazzo Farnese e la villa del Barco insieme ad una veduta di villa d’Este e di Villa Lante a Bagnaia. Tematicamente legate a questa celebrazione delle famiglie Farnese, Este e Gambara sono anche le pitture della volta che rappresentano la nascita di quattro costellazioni secondo la Poetica astronomica di Igino e in relazione alle tre sopracitate famiglie: sopra la veduta di Villa d’Este Ercole e il dragone nel giardino delle Esperidi raffigura la nascita della costellazione del serpente; sopra palazzo Farnese a Caprarola Orione e lo scorpione sono entrambi legati a una costellazione; sopra il Barco Giove sconfigge i giganti accompagnato dall’aquila (una impresa dei Farnese era costituita dal fulmine con cui Giove uccise i Giganti); infine sopra Villa Lante Ercole uccide l’Idra e con essa un granchio giunto in aiuto del mostro (in riferimento alla costellazione del cancro ma anche al gambero, simbolo del cardinale).
Nell’insieme dunque la decorazione interna della loggia di Bagnaia sembra essere interamente improntata ai precedenti modelli del salotto di Villa d’Este e della sala di Ercole a Caprarola, ma l’esterno differisce per un maggior ordine spaziale che fa perno su un asse centrale sottolineato da una cordonata da cui scende l’acqua, da un tavolo marmoreo e infine dalla fontana con grande vasca posta al centro del primo terrazzamento ed ideata secondo modelli antichi come una sorta di laghetto con isola centrale.

VILLA LANTE A BAGNAIA LA FONTANA DEL DILUVIO:
La fontana del diluvio (o Monte della Pioggia) fa scendere le sue acque gorgogliando e scrosciando tra rocce, caverne e vegetazione, da una sommità che rimanda ad una arcaica armonia tra uomo e natura che dentro Villa Lante a Bagnaia trova una simbiosi perfetta.